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Repubblica | 2007
"Ultima spiaggia" del cancro
Nei casi in cui invade anche l'addome ora a Milano si sperimenta l'asportazione del peritoneo
di Giuseppe Del Bello
Se le chances sono al lumicino, l'ultima spiaggia si chiama peritonectomia. Parliamo di metastasi, di quel che è ancora possibile fare quando le cellule tumorali hanno invaso il peritoneo, cioè la sottile membrana che avvolge gran parte degli organi addominali e dello stesso addome. Per gli specialisti si tratta di carcinosi peritoneale. La metodica fu introdotta negli Usa dal chirurgo Sugar Beker che una ventina d'anni fa iniziò a considerare la guaina peritoneale aggredita dal cancro alla stregua di un vero organo. E come tale asportabile dal bisturi. "Oltre il nostro, primo dal 1990, in Italia sono attivi una decina di centri", premette Marcello De Raco, responsabile di Patologie peritoneali all'Istituto nazionale dei Tumori di Milano, "ma per soddisfare il fabbisogno di circa 5.000 pazienti ce ne vorrebbero 50". Secondo le proiezioni, assicura lo specialista, almeno il 10% dei soggetti colpiti da tumore del colon-retto, dell'ovaio o dello stomaco, sarebbero candidati nel corso della malattia a questo trattamento.
In Europa si contano 400 mila casi all'anno di cancro colo-rettale, in Italia 40 mila. "Il 10 per cento dovrebbe avvalersi della metodica", continua De Raco, "L'evoluzione della carcinosi peritoneale è drammatica: più rapida e cattiva rispetto alle altre metastasi per la varietà di sintomi di cui è spesso responsabile, dalla subocclusione, all'ascite, alla difficoltà ad alimentarsi. E per restituire una qualità di vita accettabile bisogna investire nel settore". La peritonectomia prevede l'asportazione del peritoneo interessato e degli organi rivestiti da esso.
In alcune carcinosi la patologia tumorale è localizzata al colon, allo stomaco e all'ovaio, "che non sempre richiede la peritonectomia completa", precisa il chirurgo, "mentre è particolarmente indicata per il mesotelioma peritoneale (causato dall'amianto) e lo pseudomixoma dell'appendice, situazioni in cui asportiamo tutto il peritoneo. In gergo tecnico, quello che si definisce "stripping" si esegue con un bisturi elettrico dotato nella parte terminale di una pallina che ci consente di individuare il cosiddetto piano di clivaggio tra il peritoneo e la fascia, senza il rischio di tagliare più del dovuto".
L'intervento presuppone decisioni da adottare man man che il chirurgo procede nel lento e progressivo avvicinamento ai vari organi. "Si fa una prima valutazione", spiega De Raco, "per determinare "quanta" malattia tumorale è presente, un calcolo che serve a definire l'indice di carcinosi peritoneale. La seconda parte dell'operazione prevede la chemio-ipertermia intraperitoneale: l'ipertermia ha un effetto diretto contro il tumore, mentre i chemioterapici oltre ad agire sul tumore, esercitano un'azione maggiore grazie all'ipertermia che facilita l'accesso del farmaco all'interno delle cellule". L'intervento (costa intorno ai 30 mila euro) dura in media (400 casi trattati all'Irccs di Milano) 10 ore, mentre il più lungo si è protratto per 23 ore.
La degenza, dopo i primi due, tre giorni in terapia intensiva, si conclude dopo circa 23 giorni. "Da questo protocollo", sottolinea lo specialista, "sono esclusi i pazienti con una situazione locale che non consente la radicalità. Due i punti critici, uno è rappresentato dal peritoneo del mesentere per il quale l'intervento risulterebbe inutile considerata l'aggressività della malattia che in soli tre mesi è in grado di dare recidive; l'altra area non suscettibile al trattamento si identifica invece nel "piccolo omento" tra stomaco e fegato.
I vantaggi della peritonectomia sul mesotelioma si traducono nel 50 per cento di guarigioni e nell'assenza di recidive a distanza di 10 anni, un risultato inaspettato per una malattia che, con la sola chemio, dava 12 mesi di sopravvivenza". Meno ottimista Sandro Pignata, oncologo all'Istituto dei tumori di Napoli Pascale: "Non c'è ancora la dimostrazione che un intervento così demolitivo possa avere effetti positivi sulla sopravvivenza. Con la chemio e i nuovi farmaci antiangiogenetici la sopravvivenza da cancro del colon è passata da 12 a 20 mesi. E anche la carcinosi è sensibile alla chemioterapia. Certo, i risultati incoraggianti ottenuti a Milano meritano di essere testati, ma in studi controllati e senza compiere l'errore di trasferirli alla pratica clinica prima della loro validazione scientifica".